lunedì 21 settembre 2015

Breve presentazione di: 2018. A True Story of Schizophrenia

Roma, 4 agosto 2016
Gentili Lettori,

la storia che qui ho intenzione di presentarvi, sebbene denoti una narrazione all’apparenza ancora di matrice realista, se ne allontana notevolmente, sia nei modi che per i fini che si propone.
In effetti, in testa al frontespizio l’indicazione ‘Mental Health. True Stories Series’ già svela l’inusuale disposizione narrativa dell’autore perché, redatto in forma anonima, racconta la storia di un bibliofilo malato di mente, un attempato schizofrenico che, in balìa dei suoi ‘incontrollabili’ sentimenti, sembra si trovi ora impegnato in una improbabile ricomposizione di sé attraverso i libri e la loro attenta ‘ri-scrittura’.  
Ecco, dunque, che ci troviamo di fronte ad un libro scritto coi libri e sin dalle prime pagine ci si porrà necessariamente il costante e allarmante interrogativo: «Ma si può rendere omaggio all’arte o alla grande letteratura attraverso il plagio e da una visuale ‘malata’»?
D’altronde, ciò che si narra è essenzialmente un’avventura di tipo mentale, cioè una narrazione costruita tutta su fatti e contesti che trovano una spiegazione soltanto in una esuberante ‘mania’ bibliofilo-bibliografica, che rende il racconto un continuo riflettersi delle opere letterarie lette, sottolineate e postillate dal protagonista, uno schizofrenico di nome M che, forse per amore, dopo maniacali immersioni in ricerche bibliografiche per dare una spiegazione alla sua ‘consapevole’ follia, ora sembra voglia soltanto annullarsi e distruggersi. Di qui la decisione dell’ospedale psichiatrico dove M è in cura di far fuoco di tutti i suoi libri, considerati la ragione prima della follia in cui il protagonista è sprofondato.
Dico subito, però, che non c’è quasi nulla di particolarmente tetro nella sfumata biografia di M, anche se molte ripetute indicazioni bibliografiche (soprattutto nella prima parte) possono suggerire un quadro fosco del tipo di letture con cui il soggetto s’è insufflato la mente e che, a volte, rendono la lettura asfissiante se non addirittura ‘nauseante’. In effetti, quel che si legge nella prima parte è sempre relativo a contesti e situazioni inerenti a opere letterarie ormai quasi sconosciute e cadute in disuso, di cui M invece è assiduo e attento lettore (il riferimento qui è al The Faerie Queene di Edmund Spenser).
Il fine, ovviamente, è quello di trasportare chi legge nel contesto lecto-psico-patologico del protagonista seguendo un percorso di tipo esclusivamente psico-letterario, da cui però è possibile desumere l’evoluzione mentale di questo schizofrenico innamorato.
Il libro, dunque, è diviso in due parti (di cinque capitoli ciascuna) completamente agli antipodi tra loro. La prima parte, come accennato, è fatta di varie ‘oscurità’ e di vagheggiamenti pseudo-letterari, in cui l’indeterminatezza e l’inconsistenza del personaggio predominano. Alcuni lumi però appaiono attraverso le indicazioni bibliografiche delle opere lette, sottolineate e ‘alacremente’ postillate dal protagonista, che denotano però il grado di prostrazione mentale raggiunto e dunque potrebbero giustificare la decisione dell’ospedale psichiatrico di far scomparire tutti i suoi libri.  
La seconda parte, invece, è tutta all’insegna della ‘luminosità’, in cui il protagonista prende finalmente forma e ‘corpo’ e agisce (o re-agisce) a suo modo alla sua incomprensibile malattia.
A una ‘Discesa agli inferi’ succede così una ‘Ascesa al cielo’ e le due parti sono intitolate Igitur, ou la folie d’Elbehnon, titolo di un’opera di Mallarmé che tratta appunto di una discesa agl’inferi, e Marcel (invisible) re-monte un escalier, titolo di un quadro di M che richiama, invertendone il senso, il titolo di un’opera di Marcel Duchamp, ovvero il Nu descendant un escalier, a sua volta ispirato all’Igitur di Mallarmé.  
Ogni capitolo è intitolato-dedicato a Dulcinea del Toboso (superba creazione mentale del Don Chisciotte) perché, come tanti piccoli tasselli, ognuno di loro indica l’idea di bellezza che il protagonista si è costruito. Infatti, ciascuno di questi capitoli è sottotitolato con un riferimento a un’opera famosa e spesso ‘importante’ della letteratura mondiale (Faust, The Faerie Queene, Ulysses etc.), ovvero una traccia su cui è andata evolvendosi non solo l’idea di bellezza che M s’è fatto, ma anche il livello di faticosa ricerca di una soluzione al suo malessere, denotando nel contempo la snervante condizione psichica e mentale a cui è giunto.
La prima parte (Discesa agli inferi) è perciò una vera e propria ‘immersione’ nei libri letti, sottolineati e maniacalmente postillati da M, che in essi sembra sia alla ricerca di ‘paralleli’, nel libro concordances, e comunque qualcosa che possa dare una spiegazione al suo stato di prostrazione.
Difatti, tutto ciò che il medico pediatra (un amico fraterno del protagonista incaricato dall’ospedale di incenerire tutti i suoi libri) legge consulta e annota è sempre in relazione con quanto negli ultimi tempi M andava cercando nei libri che leggeva e sottolineava (soprattutto classici della letteratura, come i già citati Faust, Don Chisciotte, Ulysses, The Faerie Queene).
Dunque, è come se tutta La letteratura del mondo - per citare il titolo di un vecchio libro trovato dal medico pediatra sul comodino di M - piombasse qui tutta insieme per dare una spiegazione all’afflizione del protagonista, perché i rilievi bibliografici fatti da M e letti dal medico sono tutti incentrati sulla ricerca delle ragioni per cui la sua ‘strana’ psicosi ha avuto luogo, e dunque come trovare il modo con cui riabilitarsi e uscirne.
Tantissimi, d’altronde, sono i libri di M che vengono destinati all’incenerimento perché ormai considerati da tutti (come già diagnosticato dall’ospedale psichiatrico in cui il protagonista, dopo l’arresto per furto di libri, è stato recluso) la causa prima dello suo stato di alienazione e straniamento.
Un’opera, tra queste, apre infine un varco alla comprensione dello stato mentale in cui versa il ‘paziente’. Si tratta del già citato Igitur, ou la folie d’Elbehnon, una pièce teatrale pressoché sconosciuta e incompiuta di Stéphane Mallarmé, che ricorre e si ripercuote in modo quasi ridondante e ossessivo in quasi tutte le note e i post-it all’interno degli altri libri letti e postillati da M e consultati dal medico pediatra.
Questo testo teatrale, pertanto, in cui il protagonista è intento a prepararsi a una discesa agli inferi per cercare la ‘morte’ (cioè il suo annientamento interiore) per poi forse rinascere, è la traccia e il percorso mentale che M sembra stia seguendo alla lettera. Un racconto di M, inoltre, vi si ispira. In quel che scrive, infatti, M emula Igitur, sprofondando in se stesso e nella sua interiorità, provocando uno ‘squarcio’ (e un vulnus) nell’economia del racconto (cfr. capitolo quattro).
Un’altra opera, tuttavia, appare illuminante riguardo la ‘strana’ sindrome di cui M è vittima, e precisamente il Don Chisciotte, con quella ‘assurda’ creazione mentale con cui il grande hidalgo ha dato vita a Dulcinea del Toboso. D’altro canto come già detto, ogni capitolo ne porta il nome; e quando l’idea di bellezza dell’ingegnoso cavaliere errante (Don Chisciotte) entra in relazione con altre immagini di bellezza suscitate da altre importanti opere letterarie (Faust, The Faerie Queene libro sesto, Don Giovanni etc.), l’idea prima, reagendo con quest’ultime ‘chimicamente’, sviluppa situazioni oltremodo inconsuete, secondo quanto prevede la lois de l’hasard.
La storia dunque narra di un bibliofilo ‘psicopatico’ che, per cause incerte (forse un amore non corrisposto, di cui non si saprà mai nulla di specifico), trovando nei libri la soluzione alle sue angosce, decide di annientarsi e distruggersi fin quasi a scomparire.
Dico, infine, che la narrazione è sia in terza persona (un anonimo narratore che altri non è che il protagonista in veste di proprio censore) sia in prima persona, quando cioè M narra le sue avventure bibliofile (furti di libri) e erotiche. Il fatto è che protagonista e narratore alla fine si ‘ricollegano’ fino a ricongiungersi e coincidere, ossia la dimostrazione di una possibile recuperata integrità mentale del personaggio che la ‘strana’ malattia che l’aveva colpito aveva precedentemente disunito e scisso.

Cordiali saluti e buona lettura.


BREVE SINOSSI (che forse i più inclini alle sorprese letterarie di un testo non leggerebbero)


Il primo capitolo (Dulcinea del Toboso I - Don Chisciotte de la Mancha) s’apre subito in media res: un medico pediatra è intento a far fuoco di un buon numero di libri, ormai considerati la causa prima della strana malattia che ha colpito M, il protagonista. Tra i tanti libri che vengono dati alle fiamme (L’Anti-Edipo, Una sola moltitudine, Ulysses, Sexual Personae, Finnegans Wake etc.) v’è anche un Don Chisciotte, la cui innocuità per la salute mentale di qualsivoglia lettore viene poi riconosciuta anche dal medico pediatra, amico fraterno di M. In questi libri, tuttavia, moltissime sono le postille di M riferite al Faust, all’Igitur, alla musica di Mozart e all’opera di Marcel Duchamp. Alcuni inserti con scritti di M trascritti e inseriti dal narratore, infine, danno comunque un’idea della malattia che può averlo colpito.

Nel secondo capitolo (Dulcinea del Toboso II - L’azur! l'azur! l'azur! l'azur!), che s’apre con un breve ritratto del medico pediatra come lettore, una lunga postilla di M sulla musica di Mozart dà un primo segnale della strana sindrome di cui egli soffre. In essa appare, infatti, un confuso desiderio di morte che collega il Don Giovanni mozartiano all’Igitur di Mallarmé. Spaziando qua e là tra le note e i post-it di altri libri emerge infine che l’Igitur è l’opera con cui M crede di poter dare una soluzione al suo dilemma. Il capitolo si chiude sul The Faerie Queene di Edmund Spenser, probabilmente tra le opere più amate da M («forse un fiore all’interno di quel libro..»).

Il terzo capitolo (Dulcinea del Toboso III - Una sola moltitudine) si sofferma soprattutto su una raccolta di scritti di Fernando Pessoa (Una sola moltitudine) e sul Faust di Goethe - di cui il narratore riporta le numerose postille ivi fatte da M - e si comprende perfettamente quel che già, citando ancora l’Igitur di Mallarmé, s’è intuito nei capitoli precedenti: il protagonista vuol sprofondare in se stesso per poi forse rinascere.

Difatti, nel quarto capitolo (Dulcinea del Toboso IV - Faust II: Den Mutter!) è riportato distesamente un progetto di racconto in cui M, novello Igitur, aspira a sprofondare in se stesso. Ma qui, d’altronde, s’apre un aspro conflitto di natura morale tra il narratore (supportato dai commenti dello stupefatto medico pediatra) ed M, che è riuscito a scrivere cose che forse nessuno si sentirebbe in grado di raccontare; e probabilmente nemmeno a se stessi, tanta è l’enormità di quanto qui vien scritto (si narra di crudi amplessi con la madre e con la morte, la ‘sua’ morte, come specificato nel testo).   

Infatti, apertosi questo vulnus, il quinto capitolo (Dulcinea del Toboso V - Magnes sive De Arte Magnetica) è tutto caratterizzato dalla furia incendiaria di cui ora è preda il medico pediatra amico di M. Lo stesso narratore, d’altronde, prende le dovute distanze da quanto scritto dal protagonista, affermando che d’ora in poi tutto ciò che trascriverà sarà passato al vaglio della sua ‘irreprensibile’ moralità censoria.
Vengono così destinati all’incenerimento tutti quei libri che possono aver ispirato M a scrivere quel suo ‘turpe’ racconto. Dapprima, vengono dati alle fiamme molti autori francesi dell’Ottocento (Gautier, Balzac, Flaubert etc.) insieme a un Racine, tutti molto commentati e a tratti anche riprodotti, poi alcuni Shakespeare e infine dei libri scritti da donne, ma di quelle donne che, per intenderci, hanno aperto la narrativa e la scrittura femminile all’elemento ctonio (Agota Kristof, Luce Irigaray, Luisa Muraro, Rossana Ombres), come Camille Paglia suggerisce nel suo Sexual Personae riferendosi al principio femminile già potentemente in atto in Goethe e Spenser.
Il capitolo si chiude con una breve incursione nel primo libro rubato da M, ovvero il The Faerie Queene tradotto in italiano, da cui M sembra notevolmente attratto.

Con il sesto capitolo (Dulcinea del Toboso VI - The Faerie Queene) si apre la seconda parte, dove il protagonista, attraverso i suoi racconti, emerge in forme più chiare e distinte. Infatti, dopo una breve scorsa alla lista dei libri rubati da M, il narratore trascrive per intero il primo racconto che capita tra le mani del medico pediatra.
Su questo racconto appare la data 16 novembre 2017, il giorno del ricovero di M, ma narra del primo stealing book messo in atto dal protagonista un anno prima, e a seguito dell’insensata decisione di farsi arrestare.
Il primo furto riguarda dunque il The Faerie Queene, da poco tradotto in italiano, da cui M sembra attratto innanzitutto per verificare l’attendibilità di una sua recente traduzione di alcuni canti del libro sesto. Ma un imprevisto incontro con un’affascinante sessantenne è l’occasione per capire con quali modalità e intenti ora M avvicini le donne. Infatti, poco più avanti il narratore da ampi stralci di un incontro erotico tra M e l’anziana donna conosciuta in libreria.
Chiude il capitolo, dopo un corposo approfondimento sul significato che l’Igitur di Mallarmé ha assunto per M (che ne ha voluto fare una traduzione completamente diversa da quella fatta cinquant’anni prima da un eminente francesista italiano), una breve analisi del dt. Mentòre su quanto scritto da M, rilevando in quel che legge la gravità psichiatrica che ‘inconsapevolmente’ il paziente ha raggiunto.

Col settimo capitolo (Dulcinea del Toboso VII - The Creative Act : Marcel Duchamp), quasi completamente dedicato ad un altro racconto di M, appare ancora più chiara la strategia di M per risolvere la sua ‘stranissima’ malattia. Difatti, nonostante i molti tagli scaturiti dalla volontà censoria del narratore, si capisce bene a quali livelli di irresponsabilità morale sia giunto il protagonista, che nel narrare del furto di un libro costosissimo sembra si diverta anche a descrivere le sue avventure erotiche.

Stesso discorso per l’ottavo capitolo (Dulcinea del Toboso VIII - Ulysses : an incredible Bloomsday), in cui la debordante satiriasi di M, nonostante i numerosi tagli censori del narratore, sembra ormai inarrestabile. Dedicato all’Ulisse joyciano, molto apprezzato da M e ampiamente citato e commentato assecondando gli impulsi ‘degeneri’ provati in quei frangenti dal protagonista, il racconto narra di un incontro erotico con una giovanissima donna e si svolge dapprima su una spiaggia del litorale romano per poi finire, dopo i numerosi tagli censori del narratore, sull’inverosimile e rocambolesco furto del libro. Ciò che tuttavia caratterizza il capitolo è l’ostentato sensus carnis (nel testo opposto a carnalis concupiscentiae) di cui M è intriso.

Col nono capitolo (Dulcinea del Toboso IX - Dissolution) ci avviciniamo all’epilogo. Molti nodi vengono al pettine: si fa conoscenza del fratello gemello di M; sappiamo della sua scomparsa; traspare meglio di come M sia consapevole del suo stato mentale; veniamo a conoscenza della sua ostinazione a risolvere il problema che lo affligge.

Con il decimo capitolo (Dulcinea del Toboso X - Epilogue), infine, la vicenda si chiude con due lettere di M inviate al fratello gemello e a se stesso. Avviene qui una ricomposizione del personaggio. Infatti, narratore e protagonista sembrano infine coincidere, lasciando però quel margine di aleatorietà che caratterizza un po’ tutta la composizione del racconto.