Roma, 4 agosto 2016
Gentili Lettori,
la storia che qui ho intenzione di presentarvi, sebbene denoti una
narrazione all’apparenza ancora di matrice realista, se ne allontana
notevolmente, sia nei modi che per i fini che si propone.
In effetti, in testa al frontespizio l’indicazione ‘Mental Health. True
Stories Series’ già svela l’inusuale disposizione narrativa dell’autore perché,
redatto in forma anonima, racconta la storia di un bibliofilo malato di mente, un
attempato schizofrenico che, in balìa dei suoi ‘incontrollabili’ sentimenti, sembra
si trovi ora impegnato in una improbabile ricomposizione di sé attraverso i
libri e la loro attenta ‘ri-scrittura’.
Ecco, dunque, che ci troviamo di fronte ad un libro scritto coi libri e sin
dalle prime pagine ci si porrà necessariamente il costante e allarmante
interrogativo: «Ma si può rendere omaggio all’arte o alla grande letteratura attraverso
il plagio e da una visuale ‘malata’»?
D’altronde, ciò che si narra è essenzialmente un’avventura di tipo mentale, cioè una
narrazione costruita tutta su fatti e contesti che trovano una spiegazione soltanto
in una esuberante ‘mania’ bibliofilo-bibliografica, che rende il racconto un
continuo riflettersi delle opere letterarie lette, sottolineate e postillate
dal protagonista, uno schizofrenico di nome M che, forse per amore, dopo
maniacali immersioni in ricerche bibliografiche per dare una spiegazione alla
sua ‘consapevole’ follia, ora sembra voglia soltanto annullarsi e distruggersi.
Di qui la decisione dell’ospedale psichiatrico dove M è in cura di far fuoco di
tutti i suoi libri, considerati la ragione prima della follia in cui il
protagonista è sprofondato.
Dico subito, però, che non c’è
quasi nulla di particolarmente tetro nella sfumata biografia di M, anche se
molte ripetute indicazioni bibliografiche (soprattutto nella prima parte) possono
suggerire un quadro fosco del tipo di letture con cui il soggetto s’è
insufflato la mente e che, a volte, rendono la lettura asfissiante se non
addirittura ‘nauseante’. In effetti, quel che si legge nella prima parte è
sempre relativo a contesti e situazioni inerenti a opere letterarie ormai quasi
sconosciute e cadute in disuso, di cui M invece è assiduo e attento lettore (il
riferimento qui è al The Faerie Queene di Edmund Spenser).
Il fine, ovviamente, è quello di
trasportare chi legge nel contesto lecto-psico-patologico del
protagonista seguendo un percorso di tipo esclusivamente psico-letterario, da
cui però è possibile desumere l’evoluzione mentale di questo schizofrenico
innamorato.
Il libro, dunque, è diviso in due
parti (di cinque capitoli ciascuna) completamente agli antipodi tra loro. La
prima parte, come accennato, è fatta di varie ‘oscurità’ e di vagheggiamenti
pseudo-letterari, in cui l’indeterminatezza e l’inconsistenza del personaggio
predominano. Alcuni lumi però appaiono attraverso le indicazioni bibliografiche
delle opere lette, sottolineate e ‘alacremente’ postillate dal protagonista,
che denotano però il grado di prostrazione mentale raggiunto e dunque potrebbero
giustificare la decisione dell’ospedale psichiatrico di far scomparire tutti i
suoi libri.
La seconda parte, invece, è tutta
all’insegna della ‘luminosità’, in cui il protagonista prende finalmente forma
e ‘corpo’ e agisce (o re-agisce) a suo modo alla sua incomprensibile malattia.
A una ‘Discesa agli inferi’
succede così una ‘Ascesa al cielo’ e le due parti sono intitolate Igitur, ou la folie d’Elbehnon, titolo
di un’opera di Mallarmé che tratta appunto di una discesa agl’inferi, e Marcel (invisible) re-monte un escalier,
titolo di un quadro di M che richiama, invertendone il senso, il titolo di
un’opera di Marcel Duchamp, ovvero il Nu
descendant un escalier, a sua volta ispirato all’Igitur di
Mallarmé.
Ogni capitolo è
intitolato-dedicato a Dulcinea del Toboso (superba creazione mentale del Don
Chisciotte) perché, come tanti piccoli tasselli, ognuno di loro indica
l’idea di bellezza che il protagonista si è costruito. Infatti, ciascuno di questi
capitoli è sottotitolato con un riferimento a un’opera famosa e spesso
‘importante’ della letteratura mondiale (Faust,
The Faerie Queene, Ulysses etc.), ovvero una traccia su cui
è andata evolvendosi non solo l’idea di bellezza che M s’è fatto, ma anche il
livello di faticosa ricerca di una soluzione al suo malessere, denotando nel
contempo la snervante condizione psichica e mentale a cui è giunto.
La prima parte (Discesa agli
inferi) è perciò una vera e propria ‘immersione’ nei libri letti, sottolineati
e maniacalmente postillati da M, che in essi sembra sia alla ricerca di
‘paralleli’, nel libro concordances, e comunque qualcosa che possa dare
una spiegazione al suo stato di prostrazione.
Difatti, tutto ciò che il medico
pediatra (un amico fraterno del protagonista incaricato dall’ospedale di
incenerire tutti i suoi libri) legge consulta e annota è sempre in relazione
con quanto negli ultimi tempi M andava cercando nei libri che leggeva e
sottolineava (soprattutto classici della letteratura, come i già citati Faust,
Don Chisciotte, Ulysses, The Faerie Queene).
Dunque, è come se tutta La letteratura del mondo -
per citare il titolo di un vecchio libro trovato dal medico pediatra sul
comodino di M - piombasse qui tutta
insieme per dare una spiegazione all’afflizione del protagonista, perché i
rilievi bibliografici fatti da M e letti dal medico sono tutti incentrati sulla
ricerca delle ragioni per cui la sua ‘strana’ psicosi ha avuto luogo, e dunque
come trovare il modo con cui riabilitarsi e uscirne.
Tantissimi, d’altronde, sono i
libri di M che vengono destinati all’incenerimento perché ormai considerati da
tutti (come già diagnosticato dall’ospedale psichiatrico in cui il
protagonista, dopo l’arresto per furto di libri, è stato recluso) la causa
prima dello suo stato di alienazione e straniamento.
Un’opera, tra queste, apre infine un varco alla comprensione dello
stato mentale in cui versa il
‘paziente’. Si tratta del già citato Igitur,
ou la folie d’Elbehnon, una pièce teatrale pressoché sconosciuta e incompiuta
di Stéphane Mallarmé, che ricorre e si ripercuote in modo quasi ridondante e
ossessivo in quasi tutte le note e i post-it all’interno degli altri libri
letti e postillati da M e consultati dal medico pediatra.
Questo testo teatrale, pertanto,
in cui il protagonista è intento a prepararsi a una discesa agli inferi per
cercare la ‘morte’ (cioè il suo annientamento interiore) per poi forse
rinascere, è la traccia e il percorso mentale che M sembra stia seguendo alla
lettera. Un racconto di M, inoltre, vi si ispira. In quel che scrive, infatti,
M emula Igitur, sprofondando in se stesso e nella sua interiorità, provocando
uno ‘squarcio’ (e un vulnus) nell’economia del racconto (cfr. capitolo
quattro).
Un’altra opera, tuttavia, appare illuminante riguardo la ‘strana’
sindrome di cui M è vittima, e precisamente il Don Chisciotte, con
quella ‘assurda’ creazione mentale con cui il grande hidalgo ha dato vita a
Dulcinea del Toboso. D’altro canto come già detto, ogni capitolo ne porta il
nome; e quando l’idea di bellezza dell’ingegnoso cavaliere errante (Don
Chisciotte) entra in relazione con altre immagini di bellezza suscitate da
altre importanti opere letterarie (Faust,
The Faerie Queene libro sesto, Don Giovanni etc.), l’idea prima,
reagendo con quest’ultime ‘chimicamente’, sviluppa situazioni oltremodo
inconsuete, secondo quanto prevede la lois de l’hasard.
La storia dunque narra di un
bibliofilo ‘psicopatico’ che, per cause incerte (forse un amore non
corrisposto, di cui non si saprà mai nulla di specifico), trovando nei libri la
soluzione alle sue angosce, decide di annientarsi e distruggersi fin quasi a
scomparire.
Dico, infine, che la narrazione è
sia in terza persona (un anonimo narratore che altri non è che il protagonista
in veste di proprio censore) sia in prima persona, quando cioè M narra le sue
avventure bibliofile (furti di libri) e erotiche. Il fatto è che protagonista e
narratore alla fine si ‘ricollegano’ fino a ricongiungersi e coincidere, ossia
la dimostrazione di una possibile recuperata integrità mentale del personaggio che
la ‘strana’ malattia che l’aveva colpito aveva precedentemente disunito e
scisso.
Cordiali saluti e buona lettura.
BREVE SINOSSI (che forse i più inclini alle sorprese letterarie di
un testo non leggerebbero)
Il primo capitolo (Dulcinea del Toboso I - Don Chisciotte de la Mancha) s’apre subito
in media res: un medico pediatra è
intento a far fuoco di un buon numero di libri, ormai considerati la causa
prima della strana malattia che ha colpito M, il protagonista. Tra i tanti
libri che vengono dati alle fiamme (L’Anti-Edipo,
Una sola moltitudine, Ulysses, Sexual Personae, Finnegans
Wake etc.) v’è anche un Don
Chisciotte, la cui innocuità per la salute mentale di qualsivoglia lettore viene
poi riconosciuta anche dal medico pediatra, amico fraterno di M. In questi
libri, tuttavia, moltissime sono le postille di M riferite al Faust, all’Igitur, alla musica di Mozart e all’opera di Marcel Duchamp. Alcuni
inserti con scritti di M trascritti e inseriti dal narratore, infine, danno
comunque un’idea della malattia che può averlo colpito.
Nel secondo capitolo (Dulcinea del Toboso II - L’azur! l'azur! l'azur! l'azur!), che
s’apre con un breve ritratto del medico pediatra come lettore, una lunga
postilla di M sulla musica di Mozart dà un primo segnale della strana sindrome di
cui egli soffre. In essa appare, infatti, un confuso desiderio di morte che
collega il Don Giovanni mozartiano
all’Igitur di Mallarmé. Spaziando qua
e là tra le note e i post-it di altri libri emerge infine che l’Igitur è l’opera con cui M crede di
poter dare una soluzione al suo dilemma. Il capitolo si chiude sul The Faerie Queene di Edmund Spenser,
probabilmente tra le opere più amate da M («forse un fiore all’interno di quel
libro..»).
Il terzo capitolo (Dulcinea del Toboso III - Una sola moltitudine) si sofferma
soprattutto su una raccolta di scritti di Fernando Pessoa (Una sola moltitudine) e sul Faust
di Goethe - di cui il narratore riporta le numerose postille ivi fatte da M - e
si comprende perfettamente quel che già, citando ancora l’Igitur di Mallarmé, s’è intuito nei capitoli precedenti: il
protagonista vuol sprofondare in se stesso per poi forse rinascere.
Difatti, nel quarto capitolo (Dulcinea del Toboso IV - Faust II: Den Mutter!) è riportato
distesamente un progetto di racconto in cui M, novello Igitur, aspira a sprofondare
in se stesso. Ma qui, d’altronde,
s’apre un aspro conflitto di natura morale tra il narratore (supportato dai
commenti dello stupefatto medico pediatra) ed M, che è riuscito a scrivere cose
che forse nessuno si sentirebbe in grado di raccontare; e probabilmente nemmeno
a se stessi, tanta è l’enormità di quanto qui vien scritto (si narra di crudi amplessi
con la madre e con la morte, la ‘sua’ morte, come specificato nel testo).
Infatti, apertosi questo vulnus, il quinto capitolo (Dulcinea del Toboso V - Magnes sive De Arte Magnetica) è
tutto caratterizzato dalla furia incendiaria di cui ora è preda il medico
pediatra amico di M. Lo stesso narratore, d’altronde, prende le dovute distanze da quanto scritto dal
protagonista, affermando che d’ora in poi tutto ciò che trascriverà sarà
passato al vaglio della sua ‘irreprensibile’ moralità censoria.
Vengono così destinati
all’incenerimento tutti quei libri che possono aver ispirato M a scrivere quel
suo ‘turpe’ racconto. Dapprima, vengono dati alle fiamme molti autori francesi
dell’Ottocento (Gautier, Balzac, Flaubert etc.) insieme a un Racine, tutti
molto commentati e a tratti anche riprodotti, poi alcuni Shakespeare e infine dei
libri scritti da donne, ma di quelle donne che, per intenderci, hanno aperto la
narrativa e la scrittura femminile all’elemento ctonio (Agota Kristof, Luce
Irigaray, Luisa Muraro, Rossana Ombres), come Camille Paglia suggerisce nel suo
Sexual Personae riferendosi al principio
femminile già potentemente in atto in Goethe e Spenser.
Il capitolo si chiude con una
breve incursione nel primo libro rubato da M, ovvero il The Faerie Queene tradotto in italiano, da cui M sembra
notevolmente attratto.
Con il sesto capitolo (Dulcinea del Toboso VI - The Faerie Queene) si apre la seconda
parte, dove il protagonista, attraverso i suoi racconti, emerge in forme più
chiare e distinte. Infatti, dopo una breve scorsa alla lista dei libri rubati
da M, il narratore trascrive per intero il primo racconto che capita tra le
mani del medico pediatra.
Su questo racconto appare la data
16 novembre 2017, il giorno del ricovero di M, ma narra del primo stealing
book messo in atto dal protagonista un anno prima, e a seguito dell’insensata
decisione di farsi arrestare.
Il primo furto riguarda dunque il
The Faerie Queene, da poco tradotto
in italiano, da cui M sembra attratto innanzitutto per verificare
l’attendibilità di una sua recente traduzione di alcuni canti del libro sesto. Ma
un imprevisto incontro con un’affascinante sessantenne è l’occasione per capire
con quali modalità e intenti ora M avvicini le donne. Infatti, poco più avanti
il narratore da ampi stralci di un incontro erotico tra M e l’anziana donna conosciuta
in libreria.
Chiude il capitolo, dopo un
corposo approfondimento sul significato che l’Igitur di Mallarmé ha assunto per M (che ne ha voluto fare una
traduzione completamente diversa da quella fatta cinquant’anni prima da un
eminente francesista italiano), una breve analisi del dt. Mentòre su quanto
scritto da M, rilevando in quel che legge la gravità psichiatrica che ‘inconsapevolmente’
il paziente ha raggiunto.
Col settimo capitolo (Dulcinea del Toboso VII - The Creative Act :
Marcel Duchamp), quasi completamente dedicato ad un altro racconto di M,
appare ancora più chiara la strategia di M per risolvere la sua ‘stranissima’
malattia. Difatti, nonostante i molti tagli scaturiti dalla volontà censoria del
narratore, si capisce bene a quali livelli di irresponsabilità morale sia
giunto il protagonista, che nel narrare del furto di un libro costosissimo sembra
si diverta anche a descrivere le sue avventure erotiche.
Stesso discorso per l’ottavo capitolo (Dulcinea del Toboso VIII - Ulysses
: an incredible Bloomsday), in cui la debordante satiriasi di M, nonostante
i numerosi tagli censori del narratore, sembra ormai inarrestabile. Dedicato
all’Ulisse joyciano, molto apprezzato
da M e ampiamente citato e commentato assecondando gli impulsi ‘degeneri’ provati
in quei frangenti dal protagonista, il racconto narra di un incontro erotico con
una giovanissima donna e si svolge dapprima su una spiaggia del litorale romano
per poi finire, dopo i numerosi tagli censori del narratore, sull’inverosimile
e rocambolesco furto del libro. Ciò che tuttavia caratterizza il capitolo è l’ostentato
sensus carnis (nel testo opposto a carnalis concupiscentiae) di cui M è intriso.
Col nono capitolo (Dulcinea del Toboso IX - Dissolution) ci
avviciniamo all’epilogo. Molti nodi vengono al pettine: si fa conoscenza del
fratello gemello di M; sappiamo della sua scomparsa; traspare meglio di come M sia
consapevole del suo stato mentale; veniamo a conoscenza della sua ostinazione a
risolvere il problema che lo affligge.
Con il decimo capitolo (Dulcinea del Toboso X - Epilogue),
infine, la vicenda si chiude con due lettere di M inviate al fratello gemello e
a se stesso. Avviene qui una ricomposizione del personaggio. Infatti, narratore
e protagonista sembrano infine coincidere, lasciando però quel margine di
aleatorietà che caratterizza un po’ tutta la composizione del racconto.