domenica 20 aprile 2014

Marcel (invisible) re-monte un escalier. A Tribute to Marcel Duchamp


Hommage à Marcel Duchamp

 

Chemise de force pour une sublime idée
[Marcel (invisible) re-monte un escalier]


Breve omaggio a Marcel Duchamp

Come molti sanno, poco più di cento anni fa, nel febbraio del 1913, Marcel Duchamp presentò all’Armory Show[1] di New York il suo ultimo dipinto dal titolo Nu descendant un escalier (Nude Descending a Staircase No. 2).
Il quadro fece molto scalpore, all’epoca: un nudo (soggetto accademico) dalle forme esplose e scomposte e che per giunta si muove (tradizionalmente il nudo è immobile) fu, infatti, definito subito un ‘Rude’ Descending a Staircase, con l’intenzione di sottolinearne l’insolenza con cui la commissione aveva deciso di esporlo[2].
Ma quale fu l'ispirazione per questo quadro? Come al solito, per Duchamp fu letteraria[3] e fu Igitur, ou la Folie d’Elbehnon[4] di Stéphane Mallarmé, perché è a quell’opera che, nonostante l’interesse del momento fosse orientato verso la poesia di Jules Laforgue[5], rimanda espressamente il titolo.
Qualche suggerimento di lettura per l’opera da me eseguita (che chiaramente rimane libera, come la duchampiana loi de l’hasard prevede, e dunque non necessariamente quella cui qui io intenzionalmente mi riferisco) può essere utile.
Dunque. Quando Duchamp nel 1912 dipinse il suo ultimo quadro dal titolo Nu descendant un escalier fece inequivocabilmente riferimento all’Igitur di Stephane Mallarmé (considerato all’epoca il massimo rappresentante dell’espressione poetico-letteraria in Francia), un’opera in cui il protagonista, per rigenerarsi e purificarsi redimendo così la sua stirpe (così nel testo), discende agli inferi (cioè nella propria interiorità) seguendo ovviamente un percorso di natura più mentale che fisica[6].
In questo quadro è invece rappresentato il momento in cui, dagli inferi, Marcel-Igitur (cioè un’idea, quindi invisibile)[7] riemerge rigenerato per ascendere, appunto, al mondo delle idee, cioè al mondo inframince[8] della poesia.



[1] Organizzata da Walt Kuhn, Walter Pach e Arthur B. Davies, membri dell’Association of American Painters and Sculptors, subito dopo le prime esposizioni allestite presso lo studio del noto fotografo e gallerista Alfred Stieglitz, fu la prima importante esposizione in terra d’America dedicata all’arte dell’avanguardia europea.
[2] Si pensi che il quadro, era stato da poco rifiutato all’esposizione del Salon des Indépendants a Parigi del 1912, dominato all’epoca dal Groupe de Puteaux, composto dai fratelli Duchamp (Raymond Duchamp-Villon e Jacques Villon), Jean Metzinger e Albert Gleizes (questi ultimi due, autori di un trattato sul cubismo proprio nel 1912), perché ‘non conforme alle regole del cubismo’:  così, d’altronde, era scritto nelle motivazioni per l’esclusione.
[3] Per La Marièe mise à nu par ses cèlibataires même (ou Grand Verre, 1915-1923), infatti, l’ispirazione sarebbe venuta dalle Impressions d’Afrique (1912) di Raymond Roussel, come dichiarerà lo stesso Duchamp in un’importante intervista rilasciata a James Johnson Sweeney nel 1946 (cfr. M. Duchamp, Declarations to James Johnson Sweeney, in “The Bulletin of the Museum of Modern Art”, vol. XIII, nn. 4-5, New York 1946; cfr. anche M. Riparini, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di Marcel Duchamp, Academia.edu, luglio 2013).
[4] Opera pseudo-teatrale composta negli anni 1867-69 e rimasta incompiuta.
[5] Encore à cet Astre (una poesia di Jules Laforgue del 1903) è il titolo dato da Marcel Duchamp ad un suo disegno del 1911, in cui è raffigurato al centro un uomo che pensa (probabilmente uno scacchista), sulla sinistra una donna stilizzata procacemente svestita ma con un cappello in testa (che richiama la Dulcinea dello stesso anno), sulla destra un uomo che sale una scala ma con lo sguardo riverso amleticamente verso il basso. In questo disegno, dunque, appare, per la prima volta in Duchamp, la scala. Nel dipinto però il nudo non sale ma scende una scala, come d’altronde avviene nell’Igitur di Stéphane Mallarmé. Il titolo del dipinto duchampiano, pertanto, non può che rimandare a quest’ultima opera, mentre il titolo del disegno, nonostante citi una poesia di Laforgue, denota che, per maggior corrispondenza di ispirazione poetica, è all’astro Mallarmé che guarda encore Marcel; cfr. anche O. Paz, Apparenza nuda. L'opera di Marcel Duchamp, SE, Milano 1990, alle pp. 18 e 77.
[6] Ammesso poi che tali elaborazioni poetiche non abbiano anche avuto delle ripercussioni a livello fisico, psichico ed esistenziale. A onor del vero, Mallarmé, che tra l’altro aveva cominciato a lavorare anche al ‘terribile’ Hérodiade, ebbe in quel periodo (1866-69) una ‘incomprensibile’ crisi di nervi, da cui si risollevò soltanto dopo aver cominciato a dar forma alla prima versione de L'après-midi d'un faune (1865-67).
Duchamp, dal canto suo, abbandonò la pittura ‘ufficiale’, per quasi tre mesi si trasferì a Monaco di Baviera, suo primo excursus di studio in una città completamente sconosciuta, per diventar poi bibliotecario della Bibliothèque Sainte-Geneviève di Parigi (grazie all’intercessione di Francis Picabia), dove approfondì ‘maniacalmente’ i suoi studi sulla prospettiva e sulle teorie del matematico Henri Poincaré.
[7] È spesso nell’invisibilità che avvengono cose ancora inconcepibili, stupefacenti, ‘irrazionali’, forse inenarrabili; cfr. M. Riparini, Marcel Duchamp. ‘Il Grande Vetro’ ovvero Viaggio nel Paese della quarta dimensione, Academia.edu 2013.
[8] Cfr. le Note Semblablité. Similarité, Quand le fumée, Séparation infra mince, Séparation infra-mince, La différence (dimensionnelle) entre e  Acheter ou prendre des tableaux raccolte postume in M. Duchamp, Notes, notes inédites réunies et présentées par Paul Matisse, Centre Georges Pompidou, Paris 1980; cfr. anche M. Riparini, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di Marcel Duchamp, cit., in cui per inframince si intende anche il passaggio, in termini infinitesimali, da una dimensione ad un’altra: dalla dimensione tridimensionale, che tutti conosciamo, alla quarta dimensione, una dimensione più poetica, organica e olicistica della realtà.
           














       M.R. Igitur, ou la folie d''Elbehnon (SM, 1867)