Hommage à Marcel Duchamp
Chemise de force pour une sublime idée
[Marcel (invisible) re-monte
un escalier]
Breve omaggio a Marcel Duchamp
Come molti sanno, poco più di cento anni fa, nel febbraio
del 1913, Marcel Duchamp presentò all’Armory Show[1] di New York il suo ultimo dipinto dal titolo Nu descendant un escalier
(Nude Descending a Staircase No. 2).
Il quadro fece molto scalpore, all’epoca: un nudo
(soggetto accademico) dalle forme esplose e scomposte e che per giunta si muove
(tradizionalmente il nudo è immobile) fu, infatti, definito subito un ‘Rude’ Descending a Staircase, con
l’intenzione di sottolinearne l’insolenza con cui la commissione aveva deciso
di esporlo[2].
Ma quale fu l'ispirazione per questo quadro? Come al
solito, per Duchamp fu letteraria[3] e fu Igitur, ou
la Folie
d’Elbehnon[4] di Stéphane Mallarmé, perché è a quell’opera che, nonostante
l’interesse del momento fosse orientato verso la poesia di Jules Laforgue[5], rimanda espressamente il titolo.
Qualche suggerimento di lettura per l’opera da me eseguita
(che chiaramente rimane libera, come la duchampiana loi de l’hasard
prevede, e dunque non necessariamente quella cui qui io intenzionalmente mi
riferisco) può essere utile.
Dunque. Quando Duchamp nel 1912 dipinse il suo ultimo quadro dal
titolo Nu descendant un escalier fece
inequivocabilmente riferimento all’Igitur
di Stephane Mallarmé (considerato all’epoca il massimo rappresentante dell’espressione
poetico-letteraria in Francia), un’opera in cui il protagonista, per rigenerarsi
e purificarsi redimendo così la sua stirpe (così nel testo), discende agli
inferi (cioè nella propria interiorità) seguendo ovviamente un percorso di
natura più mentale che fisica[6].
In questo quadro è invece rappresentato il momento in cui,
dagli inferi, Marcel-Igitur (cioè un’idea, quindi invisibile)[7] riemerge rigenerato per ascendere, appunto, al mondo
delle idee, cioè al mondo inframince[8] della poesia.
[1]
Organizzata da Walt Kuhn, Walter Pach e Arthur B. Davies, membri
dell’Association of American Painters and Sculptors, subito dopo le prime
esposizioni allestite presso lo studio del noto fotografo e gallerista Alfred
Stieglitz, fu la prima importante esposizione in terra d’America dedicata
all’arte dell’avanguardia europea.
[2] Si
pensi che il quadro, era stato da poco rifiutato all’esposizione del Salon des
Indépendants a Parigi del 1912, dominato all’epoca dal Groupe de Puteaux,
composto dai fratelli Duchamp (Raymond Duchamp-Villon e Jacques Villon), Jean Metzinger
e Albert Gleizes (questi ultimi due, autori di un trattato sul cubismo proprio
nel 1912), perché ‘non conforme alle regole del cubismo’: così, d’altronde, era scritto nelle motivazioni
per l’esclusione.
[3] Per La Marièe mise à nu par ses cèlibataires
même (ou Grand Verre, 1915-1923), infatti,
l’ispirazione sarebbe venuta dalle Impressions
d’Afrique (1912) di Raymond Roussel, come dichiarerà lo stesso Duchamp in
un’importante intervista rilasciata a James Johnson Sweeney nel 1946 (cfr. M. Duchamp, Declarations to James
Johnson Sweeney, in “The Bulletin
of the Museum of Modern Art”, vol. XIII, nn. 4-5, New York 1946; cfr. anche
M. Riparini, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di
Marcel Duchamp, Academia.edu, luglio 2013).
[4] Opera pseudo-teatrale
composta negli anni 1867-69 e rimasta incompiuta.
[5] Encore à cet Astre
(una poesia di Jules Laforgue del 1903) è il titolo dato da Marcel Duchamp ad un
suo disegno del 1911, in
cui è raffigurato al centro un uomo che pensa (probabilmente uno scacchista),
sulla sinistra una donna stilizzata procacemente svestita ma con un cappello in
testa (che richiama la Dulcinea
dello stesso anno), sulla destra un uomo che sale una scala ma con lo sguardo
riverso amleticamente verso il basso. In questo disegno, dunque, appare, per la
prima volta in Duchamp, la scala. Nel dipinto però il nudo non sale ma scende
una scala, come d’altronde avviene nell’Igitur
di Stéphane Mallarmé. Il titolo del dipinto duchampiano, pertanto, non può che
rimandare a quest’ultima opera, mentre il titolo del disegno, nonostante citi
una poesia di Laforgue, denota che, per maggior corrispondenza di ispirazione
poetica, è all’astro Mallarmé che guarda encore Marcel; cfr.
anche O. Paz, Apparenza nuda.
L'opera di Marcel Duchamp, SE, Milano 1990, alle pp. 18 e 77.
[6]
Ammesso poi che tali elaborazioni poetiche non abbiano anche avuto delle
ripercussioni a livello fisico, psichico ed esistenziale. A onor del vero,
Mallarmé, che tra l’altro aveva cominciato a lavorare anche al ‘terribile’ Hérodiade,
ebbe in quel periodo (1866-69) una ‘incomprensibile’ crisi di nervi, da cui si
risollevò soltanto dopo aver cominciato a dar forma alla prima versione de L'après-midi
d'un faune (1865-67).
Duchamp, dal canto suo,
abbandonò la pittura ‘ufficiale’, per quasi tre mesi si trasferì a Monaco di
Baviera, suo primo excursus di studio in una città completamente
sconosciuta, per diventar poi bibliotecario della Bibliothèque Sainte-Geneviève
di Parigi (grazie all’intercessione di Francis Picabia), dove approfondì
‘maniacalmente’ i suoi studi sulla prospettiva e sulle teorie del matematico
Henri Poincaré.
[7] È spesso nell’invisibilità che
avvengono cose ancora inconcepibili, stupefacenti, ‘irrazionali’, forse
inenarrabili; cfr. M. Riparini, Marcel Duchamp. ‘Il Grande Vetro’ ovvero
Viaggio nel Paese della quarta dimensione, Academia.edu 2013.
[8] Cfr.
le Note Semblablité.
Similarité, Quand le fumée, Séparation
infra mince, Séparation
infra-mince, La
différence (dimensionnelle) entre e Acheter ou prendre des
tableaux raccolte postume in M.
Duchamp, Notes, notes inédites réunies et présentées par Paul Matisse, Centre Georges Pompidou, Paris 1980; cfr.
anche M. Riparini, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di
Marcel Duchamp, cit., in cui per inframince
si intende anche il passaggio, in termini infinitesimali, da una dimensione ad
un’altra: dalla dimensione tridimensionale, che tutti conosciamo, alla quarta dimensione,
una dimensione più poetica, organica e olicistica della realtà.